Soffia il vento

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    Messaggio Da saturn55 Mar Gen 07, 2014 10:51 am

    diciamocele ...!
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    Messaggio Da ggallozz Mar Gen 07, 2014 1:39 pm

    proviamo a ricordarceli e confrontarli ... usando le repliche dai giornali Wink


    Ultima modifica di ggallozz il Mar Gen 07, 2014 1:46 pm - modificato 1 volta.
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    Presidenza della Repubblica Italiana Empty Da l'Espressso - Alessandro Zilioli a Giorgio Napolitano

    Messaggio Da ggallozz Mar Gen 07, 2014 1:43 pm

    http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/01/01/mi-scusi-presidente/
    Mi scusi Presidente

    Caro presidente Napolitano,

    personalmente non sono tra quelli che credono a quella che lei chiama «la ridicola storia delle mie pretese di strapotere personale»; di più, sono persuaso che lei sia in onestà intellettuale quando dice di aver accettato il secondo incarico solo perché non si poteva «sottrarre a un’ulteriore assunzione di responsabilità verso la Nazione in un momento di allarmante paralisi istituzionale».

    Ma vede, Presidente, il punto non è questo. Il punto cioè non è quello che c’è nella sua coscienza. Anzi, trascende del tutto le sue buone intenzioni. E ha a che fare invece con il senso stesso di questa sua presidenza, con il suo grado di comprensione del reale, quindi con la sua capacità o meno di impattare positivamente sul Paese della cui unità lei è garante e simbolo.

    A partire dalla questione fondamentale: che è emersa quando lei il 31 sera ci ha spiegato che «le tendenze distruttive nel confronto politico e nel dibattito pubblico – tendenze all’esasperazione, anche con espressioni violente, di ogni polemica e divergenza, innescano un “tutti contro tutti” che lacera il tessuto istituzionale e la coesione sociale».

    Ecco, vede Presidente, così dicendo purtroppo lei ha dimostrato di confondere drammaticamente la causa con l’effetto: non sono le tendenze distruttive a lacerare la coesione sociale, è l’assenza di coesione sociale che ha provocato le tendenze distruttive.

    E qui, Presidente, mi scusi ma si gioca tutto. La rabbia diffusa, la catastrofe morale ed economica, la mancanza di speranze, il senso di “no future” che attraversa questo Paese frastagliato e atomizzato sono il centro di tutto.

    Può un Presidente della Repubblica non dire una parola sulle politiche che hanno generato questa catastrofe? Può fingere di ignorare da cosa sono state causate queste «tendenze distruttive»? Può non pronunciare nemmeno una parola di critica verso gli establishment dei Palazzi e dell’economia che ci hanno portato fin qui, fino a questa dissoluzione della coesione sociale?

    Può, ancora, un Presidente della Repubblica riproporre nel 2014 l’esaltazione retorica dell’Europa senza un briciolo di approfondimento in più su quello che è diventata la Ue con la sua moneta e su quello che invece dovrebbe essere per i suoi cittadini?

    Anche qui: perché dovremmo sentirci «affratellati», come dice lei, in un Paese il cui Presidente vede (o dice) così poco sulle dinamiche economiche più impattanti e sulle possibili vie per affrontarle?

    Non vede, Presidente, che sempre più italiani si sentono come passeggeri di un aereo che sta precipitando e i cui piloti stanno ridendo mentre si preparano il loro paracadute? E non crede che, fondata o meno che sia questa percezione, di questo terribile sentimento diffuso un Capo dello Stato avrebbe dovuto farsi carico ieri sera, parlando a chi stava dall’altra parte del televisore?

    Ecco, Presidente, lei ritiene che la sua permanenza al Quirinale sia necessaria data «l’attuale situazione del paese e delle istituzioni»; e può darsi che sia così, se si guarda l’alchimia delle forze politiche, i gruppi e i gruppetti parlamentari, le segreterie dei partiti.

    Ma forse le saremmo stati più grati se ieri lei avesse cercato le ragioni legittimanti della sua seconda presidenza non nel Palazzo e nella sua aritmetica, ma in un tentativo critico e autocritico di empatia con le persone che in questo Paese abitano: sempre più rinchiuse in mille risentimenti e mille paure, ormai schegge nude e vagabonde senza più alcun senso di comunità.

    E questo, forse, è un po’ mancato ieri sera.

    Buon anno a lei, naturalmente.


    Ultima modifica di ggallozz il Mar Feb 02, 2016 7:10 pm - modificato 1 volta.
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    Messaggio Da ggallozz Mar Gen 07, 2014 1:50 pm

    Discorso di fine anno, compianto per Giorgio Napolitano
    di Pierfranco Pellizzetti


    Così, per un doveroso paragone.

    Confesso che la performance presidenziale ha profondamente modificato il mio stato d’animo iniziale. A partire da una sorta di umano rispetto (simpatia no, Napolitano è troppo impettito, birignaoso e compreso nella parte per indurre sentimenti di immedesimazione) e quasi compassione nei confronti di quell’uomo anziano, che persiste nel difendere le proprie idee e non demorde davanti ad attacchi impietosi e villani, alcuni dei quali configurano vero e proprio teppismo.

    Dicevo, l’ormai prossimo ai novant’anni Giorgio Napolitano (classe 1925) è certamente un uomo segnato dall’età; i cui processi di ricambio nel parco delle idee si sono interrotti da decenni; che come tutti gli anziani vive in un mondo in via di restringimento, tendendo a limitarsi alla frequentazione intellettuale e amicale di una ridotta cerchia di amici, probabilmente sempre la stessa. Una cerchia di coetanei senescenti, sospettosi del cambiamento e indispettiti dall’intromissione di elementi non riconducibili agli schemi di orientamento che li accompagnano da una vita. Una mentalità già di per sé bloccata, sul cui fisiologico conservatorismo da “quarta età” Napolitano innesta ad abundatiam l’idea che ne accompagna l’intera vicenda politica (tenere sotto controllo le spinte centrifughe del Sociale); che nel tempo si è trasformata in ossessione. L’ossessione delle larghe intese, nella cui realizzazione è stato assecondato dal beneficiario diretto di tale formula politica: quell’Enrico Letta che era ottuagenario già quando succhiava il latte materno.

    Ciò detto (e prese le necessarie distanze da un’idea della politica che coincide con la paralisi, al limite la mummificazione) come commentare gli attacchi assolutamente spropositati nei confronti di questo signore testardo nelle idee e manierato nello stile?

    Certo la richiesta di impeachment risulta ampiamente sovradimensionata e strumentale: la messa sotto accusa di un presidente per via della sua concezione anestetica della politica? Suvvia! E che a richiedere un tale provvedimento, irresponsabilmente devastante, sia Silvio Berlusconi, incattivito perché per una volta non è stato assecondato nei suoi capricci (l’impunità come diritto divino), induce a classificare la richiesta quale vera canagliata. A meno non si riesca a dimostrare che al momento della formazione del governo di larghe intese il Presidente della Repubblica avesse fatto promesse mirabolanti al Cavaliere (tipo cancellazione di condanne penali), poi non mantenute: il che configurerebbe canagliate uguali e contrarie di cui, allo stato attuale dei fatti, non si ha la benché minima prova.

    Che insulti l’ultra ottuagenario del Quirinale il bullo sbulinato Matteo Salvini, quello dell’apartheid sulle carrozze del metro milanese, suscita sdegno ma non sorpresa: cosa non si farebbe per un quarto d’ora di visibilità; soprattutto essendo a capo di un partito in stato di avanzata putrefazione, in quanto confermatosi niente più di un carretto carico di picari da osteria (con l’accompagnamento pure di qualche ladrone).

    Ma anche il tuonare di Beppe Grillo contro Napolitano non fa un gran belvedere. La richiesta di messa sott’accusa del Primo Cittadino, collegata al disegno di andare alle elezioni con il vecchio Mattarellum, sa soltanto di furbata per incassare un tesoretto di voti di protesta  in una logica da avvelenatori di pozzi.

    Insomma, contemplando il 31 sera gli sforzi (tutto sommato commoventi) del quasi novantenne per difendere idee antiche di cui è fermamente convinto, paragonati a quelli di aggressori motivati soltanto da interessi che nel migliore dei casi sono di bottega, nel peggiore da piromani, si aveva l’immagine plastica di un Paese spinto nel burrone proprio dagli stessi presunti driver.

    So che questa opinione irriterà i più; quelli che tutte le volte scrivono rinfacciandomi la deliberata non propositività, il cronico rifiuto di schierarmi. Ma qui non vale proporre e fare il tifo, quando il problema è proprio “il manico”: con questi personaggi – nessuno escluso – ha ben poco senso giocare ai piccoli suggeritori. Visto che la loro miserabilità vanificherebbe comunque ogni contributo.


    Ultima modifica di ggallozz il Lun Feb 01, 2016 1:39 pm - modificato 1 volta.
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    Messaggio Da ggallozz Mar Gen 07, 2014 1:54 pm

    Redazione de Il Fatto Quotidiano

    “L’anno che sta per terminare è stato tra i più pesanti e inquieti che l’Italia ha vissuto da quando è diventata Repubblica”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha iniziato così il suo discorso di fine anno. Un 2013 “tra i più inquieti sul piano politico e istituzionale. L’anno che sta per iniziare deve essere diverso e migliore, per il Paese e specialmente per quanti hanno sofferto duramente le conseguenze della crisi”, aggiunge parlando di una crisi dalla quale in Europa si comincia ad uscire. Ha un pensiero per Papa Francesco (“Ci richiama a responsabilità sorti del mondo”). Dedica un passaggio per i detenuti che sono costretti in carceri degradate. Qualche parola di saluto anche per i militari impegnati nelle missioni di pace e ai marò ancora in India sotto processo. Riserva qualche secondo anche al “disastro della Terra dei Fuochi“. Ma soprattutto risponde a 5 email arrivate all’indirizzo del Quirinale di cittadini, simbolo dei sacrifici degli italiani. Ma parla anche della politica che “deve cambiare“, di un anno – il 2013 – che ha permesso all’Italia di scongiurare i peggiori pericoli e del suo stesso mandato: E’ “ridicola – aggiunge – la storia del mio strapotere personale”. “Resterò presidente – continua – fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo farà ritenere necessario e possibile, e fino a quando le forze me lo consentiranno. Fino ad allora e non un giorno di più; e dunque di certo solo per un tempo non lungo”. Questo perché “spero di poter vedere nel 2014 decisamente avviato un nuovo percorso di crescita, di lavoro e di giustizia per l’Italia e almeno iniziata un’incisiva riforma delle istituzioni repubblicane”.

    Dunque la risposta alle lettere dei cittadini che hanno scritto al Quirinale. C’è Vincenzo che scrive da un piccolo centro industriale delle Marche che ha difficoltà a ritrovare un lavoro. E ancora Daniela, della provincia di Como che racconta il caso del suo fidanzato “giovane per la pensione, già vecchio per lavorare”. Sono alcune delle lettere che il capo dello Stato ha ricevuto da semplici cittadini e che legge nel suo discorso di fine anno. Un altro cittadino denuncia la condizione degli esodati: “Una forte denuncia della condizione degli ‘esodati’ mi è stata indirizzata da Marco, della provincia di Torino, che mi chiede di citare la gravità di tale questione, in quanto comune a tanti, nel messaggio di questa sera, e lo faccio”. Altra novità è stata la scenografia del discorso. Quest’anno il capo dello Stato non ha parlato dalla consueta scrivania ma da quella di lavoro, alla quale riceve il presidente del Consiglio e le altre personalità politiche nazionali e internazionali e sulla quale appunto legge le email.

    E i sacrifici, poi, non possono essere solo quelli dei semplici cittadini. Un imprenditore scrive al presidente. “Facciamoli insieme questi sacrifici. Che comincino anche i politici”. “Mi sembra – ha risposto il capo dello Stato – un proposito e un appello giusto, cui peraltro cercano di corrispondere le misure recenti all’esame del Parlamento in materia di Province e di finanziamento pubblico dei partiti”. Nella politica, nelle istituzioni e nei rapporti sociali – aggiunge il presidente della Repubblica – sono necessari “forti cambiamenti”. Napolitano spiega di trovare in ogni appello che gli giunge dai cittadini gli “stimoli per prospettare, nei limiti dei miei poteri e delle mie possibilità, i forti cambiamenti necessari nella politica, nelle istituzioni, nei rapporti sociali. Ne traggo anche la convinzione che ci siano grandi riserve di volontà costruttiva e di coraggio su cui contare”.

    La ripartenza dell’Italia è fondata sul “coraggio degli italiani“, dice Napolitano, che è “in questo momento l’ingrediente decisivo per far scattare nel 2014 quella ripresa di cui l’Italia ha così acuto bisogno. Coraggio di rialzarsi, di risalire la china”. Il capo dello Stato ha elencato alcune forme di coraggio di cui ora l’Italia ha bisogno: “Coraggio di praticare la solidarietà: come già si pratica in tante occasioni, attraverso una fitta rete di associazioni e iniziative benefiche, o attraverso gesti, azioni eloquenti ed efficaci – dinanzi alle emergenze – da parte di operatori pubblici, di volontari, di comuni cittadini, basti citare l’esempio di Lampedusa. Coraggio infine di intraprendere ed innovare: quello che mostrano creando imprese più donne, più giovani, più immigrati che nel passato”.

    Anche per questo servono “risposte qui e ora”, sottolinea, “alla fatica sociale”. In particolare, serve un lavoro che porti “a un disegno di sviluppo nazionale e di giustizia sociale da proiettare in un orizzonte più lungo”. “E’ a questa prospettiva – afferma il presidente della Repubblica – che sono interessati innanzitutto i giovani, quelli che con grandi sforzi già hanno trovato il modo di dare il meglio di sé”.

    Poi c’è la politica. C’è il governo e c’è il Parlamento. E per dare risposte “qui ed ora” al futuro dei giovani e alla “fatica sociale”, “si richiedono lungimiranti e continuative scelte di governo, con le quali debbono misurarsi le forze politiche e sociali e le assemblee rappresentative, prima di tutto il Parlamento, oggi più che mai bisognoso di nuove regole per riguadagnare il suo ruolo centrale”. ”Non tocca a me – continua Napolitano – esprimere giudizi di merito, ora, sulle scelte compiute dall’attuale governo, fino alle più recenti per recuperare e bene impiegare, essenzialmente nel Mezzogiorno, miliardi di euro attribuitici dalla Unione europea“. Rispetto a “tali scelte e alla loro effettiva attuazione, e ancor più su quelle che il governo annuncia – sotto forma di un patto di programma che impegni la maggioranza per il 2014 – il solo giudice è il Parlamento“. Ma si rivolge anche le opposizioni, il cui gruppo più corposo (i Cinque Stelle) non è mai tenero. “Grande è lo spazio – dice – anche per le forze di opposizione che vogliono criticare in modo circostanziato e avanzare controproposte sostenibili” rispetto all’operato del governo. Tutto questo dopo aver sottolineato che non tocca a lui ma al Parlamento giudicare l’operato dell’esecutivo sia per quanto fatto che per quanto intende fare con il Patto per il 2014. Certo, resta la preoccupazione “per il diffondersi di tendenze distruttive nel confronto politico e nel dibattito pubblico, tendenze all’esasperazione, anche con espressioni violente, di ogni polemica e divergenza, fino ad innescare un ‘tutti contro tutti’ che lacera il tessuto istituzionale e la coesione sociale”.

    E comunque i sacrifici fin qui fatti non sono stati vani, rileva. “Sarebbe dissennato – dichiara – disperdere i benefici del difficile cammino compiuto. I rischi già corsi si potrebbero riprodurre nel prossimo futuro: è interesse comune scongiurarli ancora”. “Penso ai pericoli, nel corso del 2013, di un vuoto di governo e di un vuoto al vertice dello Stato: pericoli che non erano immaginari e potevano tradursi in un fatale colpo per la credibilità dell’Italia e per la tenuta non solo della sua finanza ma del suo sistema democratico”, spiega Napolitano. “Quei pericoli sono stati scongiurati nel 2013, sul piano finanziario con risultati come il risparmio di oltre 5 miliardi sugli interessi da pagare sul nostro debito pubblico”, conclude il Capo dello Stato.

    Certo, resta la questione di un profondo rinnovamento anche delle istituzioni: “La nostra democrazia, che ha rischiato e può rischiare una destabilizzazione, va rinnovata e rafforzata attraverso riforme obbligate e urgenti”. Per esempio, si deve porre “termine a un abnorme ricorso, in atto da non pochi anni, alla decretazione d’urgenza e a votazioni di fiducia su maxiemendamenti”, “garantendo ciò con modifiche costituzionali e regolamentari, confronti lineari e tempi certi in Parlamento per l’approvazione di leggi di attuazione del programma di governo”. Da qui il riferimento alle riforme istituzionali. “Entrambe le Camere approvarono nel maggio scorso a grande maggioranza una mozione che indicava temi e grandi linee di revisione costituzionale – spiega il capo dello Stato – Compreso quel che è da riformare – come proprio nei giorni scorsi è apparso chiaro in Parlamento – nella formazione delle leggi”. Riforme che devono vedere partecipare anche le opposizioni al governo Letta, secondo Napolitano. Comprese Forza Italia e Movimento Cinque Stelle. “Alle forze parlamentari tocca da resoluzione, sulla base di un’intesa che anch’io auspico possa essere la più larga, al problema della riforma elettorale, divenuta ancor più indispensabile e urgente dopo la sentenza della Corte Costituzionale”.

    Infine il passaggio sul suo secondo mandato che durerà per un tempo non molto lungo, dice. “Sono attento a considerare ogni critica o riserva, obiettiva e rispettosa, circa il mio operato”, ma “non mi lascerò condizionare da campagne calunniose, da ingiurie e minacce“. Sottolinea che “nessuno può credere alla ridicola storia delle pretese di strapotere personale”. Tutti sanno, anche se qualcuno finge di non ricordare, che il 20 aprile scorso, di fronte alla pressione esercitata su di me da diverse forze politiche perché dessi la disponibilità a una rielezione a presidente, sentii di non potermi sottrarre a una ulteriore assunzione di responsabilità. E solo questa pressione, ha precisato, lo spinse a caricarsi di questo “peso”. “Ho assolto il mio mandato – aggiunge – raccogliendo preoccupazioni e sentimenti diffusi tra gli italiani. E sempre mirando a rappresentare e rafforzare l’unità nazionale, servendo la causa del prestigio internazionale dell’Italia, richiamando alla correttezza e all’equilibrio nei rapporti tra le istituzioni e i poteri dello Stato”.

    Tra le varie reazioni arrivate subito dopo il discorso di Napolitano quella del presidente del Consiglio Enrico Letta: “”Esprimo totale sintonia con le parole e gli auspici del messaggio del Capo dello Stato. L’Italia che vuole rialzarsi e costruire con opportune e tempestive riforme si riconosce nei toni e nell’orizzonte delineato dal Presidente Napolitano”. ”Combatteremo – aggiunge il capo del governo – con la stessa energia chi esprime, con spirito esclusivamente distruttivo, la volontà di portare al collasso il sistema senza mettere in campo proposte e riforme realmente praticabili”. Mentre Beppe Grillo annuncia l’impeachment già per gennaio, il discorso di Napolitano è musica per le orecchie di Matteo Renzi. ”Lavoro e coraggio – dice – sono le sfide degli italiani per il 2014: noi ci siamo, convinti e determinati per dare al nostro paese un futuro. Le sfide per il nuovo anno non sono semplici, ma proprio per questo non c’è da perdere neanche un minuto e il Pd raccoglierà l’appello del presidente della Repubblica fin dai prossimi giorni”.
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    Messaggio Da ggallozz Mar Gen 07, 2014 2:39 pm

    Colle 22 di Marco Travaglio dl Fatto Quotidiano

    Metteva tristezza, molta tristezza, l’ottavo monito di Capodanno del Presidente Monarca. Triste il tentativo disperato di recuperare uno straccio di rapporto con la gente comune dopo il crollo di popolarità nei sondaggi (dall’ 84 % di due anni fa al 47-49 di oggi) inaugurando la rubrica “La posta del cuore”: Sua Maestà ha declamato alcune lettere di sudditi in difficoltà per la crisi, omettendo quelle critiche e senza rispondere a nessuna. Triste l’evocazione del dramma degli esodati e il silenzio su chi li ha condannati alla miseria: il governo Monti e la ministra Fornero, creati in laboratorio da lui stesso. Triste l’appello al cambiamento e al rinnovamento della classe politica lanciato da un veterano della Casta entrato in Parlamento nel lontano 1953 per non uscirne mai più.
    Triste l’encomio al governo Letta jr. per le “misure recenti all’esame del Parlamento in materia di province e di finanziamento pubblico dei partiti”, due maquillage gattopardeschi che non faranno risparmiare un solo euro alla collettività. Triste il successivo atteggiarsi ad arbitro imparziale: “Non tocca a me esprimere giudizi di merito sulle scelte compiute dall’attuale governo… il solo giudice è il Parlamento”, come se non avesse appena elogiato due scelte compiute dall’attuale governo. Triste la citazione con nomi e cognomi dei due marò imputati in India per aver accoppato due innocenti pescatori indiani e spacciati per eroi nazionali martirizzati per la guerra alla pirateria; e, al contempo, il silenzio sul pm Nino Di Matteo condannato a morte da Totò Riina e sui suoi colleghi palermitani minacciati dalla mafia. Tristemente beffardo l’accenno alla Terra dei Fuochi come un “disastro” contro l’ “ambiente”, senza una sola parola sulle 150 mila cartoline con le foto dei bambini morti di cancro per un crimine perpetrato dalla camorra e insabbiato per quasi vent’anni dallo Stato, fin da quando lui, Napolitano, era ministro dell’Interno. Tristemente imbarazzante l’autoelogio per lo scrupoloso rispetto delle prerogative presidenziali: “Nessuno può credere alla ridicola storia delle mie pretese di strapotere personale”.
    Lo dice lui, dunque c’è da credergli: come all’oste che assicura che il vino è buono. Triste l’excusatio non petita (accusatio manifesta) per la rielezione, sempre smentita e poi accettata dopo ben un quarto d’ora di tormento interiore: “Tutti sanno (a tutti è stato raccontato, ndr) – anche se qualcuno finge di non ricordare – che il 20 aprile, di fronte alla pressione esercitata su di me da diverse e opposte forze politiche perché dessi la mia disponibilità a una rielezione a Presidente, sentii di non potermi sottrarre a un’ulteriore assunzione di responsabilità verso la Nazione in un momento di allarmante paralisi istituzionale”.
    Peccato che il 20 aprile, dopo la quarta votazione a vuoto per il nuovo presidente, non ci fosse alcuna “paralisi istituzionale”: ben quattro presidenti non furono eletti nei primi quattro scrutini (Saragat passò al 21 °, Leone al 23 °; Pertini e Scalfaro al 16 °), altri quattro passarono al quarto (Einaudi, Gronchi, Segni e Napolitano) e solo tre al primo colpo (De Nicola, Cossiga e Ciampi). E peccato che nessuno abbia ancora spiegato come fu che il mattino del 20 aprile, nel giro di due ore, Bersani, Berlusconi e Gianni Letta, Maroni, Monti e 17 governatori regionali su 20 abbiano avuto tutti insieme la stessa idea di salire in pellegrinaggio al Colle, sincronizzati disciplinatamente, per chiedergli di restare: furono colti tutti e 22 contemporaneamente da un attacco di telepatia o qualcuno suggerì loro quella scelta e dettò loro
    i tempi delle visite scaglionate? Triste, infine, la conferma del suo “mandato a tempo” e “a condizione”, espressamente vietato dalla Costituzione. Che, all’articolo 85, recita: “Il presidente della Repubblica è eletto per sette anni”. Non per la durata che decide lui, né tantomeno alle condizioni che impone lui.

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