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ggallozz- Messaggi : 76
Data d'iscrizione : 11.12.13
- Messaggio n°2
Carlo Debenedetti
da Il sole 24 ore
De Benedetti, una meteora a corso Marconi
Carlo De Benedetti è stata una meteora nella Galassia Agnelli. Ma i 100 giorni dell'Ingegnere in Fiat hanno lasciato il segno.
Erano stati proprio Gianni e Umberto a volere De Benedetti, allora giovane manager in carriera, come amministratore delegato al fianco di Umberto. Di certo, nel marzo 1976, fecero scalpore i termini dell'accordo, nettamente favorevoli a De Benedetti che cedette alla Fiat il 60% della Gilardini, azienda di famiglia, per il 5% dell'industria torinese.
Lasciava sorpresi il fatto che per la prima volta un imprenditore esterno alla famiglia venisse cooptato per la gestione dell'azienda. Il nuovo amministratore delegato diventava così anche il secondo azionista del Lingotto. Ma Agnelli aveva visto lungo perchè De Benedetti aveva stoffa, come poi dimostrò in seguito la sua attività di imprenditore. Tra l'altro De Benedetti vantava un'amicizia scolastica con Umberto (abitavano inoltre nello stesso palazzo) e con l'avvocato instaurò una convergenza di orientamenti e posizioni. Ma il soggiorno a Torino fu breve perchè l'ingegnere si macchiò, secondo la stampa, del crimine di tentato "regicidio". Si disse che de Benedetti stesse mettendo insieme un cospicuo pacchetto di azioni Fiat (confidando nel sostegno della comunità ebraica), tanto che pure a Mediobanca si ebbe qualche segnale di preoccupazione. L'unica cosa certa è che a fine agosto, dopo 100 giorni, De Benedetti lasciò l'incarico.
Dopo l'uscita da Fiat le strade di Agnelli e De Benedetti non si incrociarono più. L'ingegnere arrrivò a essere uno dei principali protagonisti degli anni '80 tentando operazioni finanziarie talora spericolate (come la sortita contro la Societè Generale de Belgique), ma sempre, almeno formalmente, lontano da quello che accadeva a Torino.
De Benedetti, una meteora a corso Marconi
Carlo De Benedetti è stata una meteora nella Galassia Agnelli. Ma i 100 giorni dell'Ingegnere in Fiat hanno lasciato il segno.
Erano stati proprio Gianni e Umberto a volere De Benedetti, allora giovane manager in carriera, come amministratore delegato al fianco di Umberto. Di certo, nel marzo 1976, fecero scalpore i termini dell'accordo, nettamente favorevoli a De Benedetti che cedette alla Fiat il 60% della Gilardini, azienda di famiglia, per il 5% dell'industria torinese.
Lasciava sorpresi il fatto che per la prima volta un imprenditore esterno alla famiglia venisse cooptato per la gestione dell'azienda. Il nuovo amministratore delegato diventava così anche il secondo azionista del Lingotto. Ma Agnelli aveva visto lungo perchè De Benedetti aveva stoffa, come poi dimostrò in seguito la sua attività di imprenditore. Tra l'altro De Benedetti vantava un'amicizia scolastica con Umberto (abitavano inoltre nello stesso palazzo) e con l'avvocato instaurò una convergenza di orientamenti e posizioni. Ma il soggiorno a Torino fu breve perchè l'ingegnere si macchiò, secondo la stampa, del crimine di tentato "regicidio". Si disse che de Benedetti stesse mettendo insieme un cospicuo pacchetto di azioni Fiat (confidando nel sostegno della comunità ebraica), tanto che pure a Mediobanca si ebbe qualche segnale di preoccupazione. L'unica cosa certa è che a fine agosto, dopo 100 giorni, De Benedetti lasciò l'incarico.
Dopo l'uscita da Fiat le strade di Agnelli e De Benedetti non si incrociarono più. L'ingegnere arrrivò a essere uno dei principali protagonisti degli anni '80 tentando operazioni finanziarie talora spericolate (come la sortita contro la Societè Generale de Belgique), ma sempre, almeno formalmente, lontano da quello che accadeva a Torino.
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- Messaggio n°3
Carlo Debenedetti
da Il Fatto Quotidiano 11 Jan 2018 » GIORGIO MELETTI
Vita dell’Ingegnere, dal declino Olivetti al crac Ambrosiano è spesso cascato sui peccati finanziari.
E qualche condanna
■ I 100 giorni alla Fiat, il crac Ambrosiano, l’arresto per Tangentopoli, il disastro di Olivetti e Sorgenia e i precedenti (anche in famiglia) dei blitz in Borsa
Venticinque anni fa un maestro del giornalismo economico come Marco Borsa definì Carlo De Benedetti come “il più bravo a tuffarsi nella finanza speculativa” degli anni Ottanta: “Nel bene e nel male resta il maestro”, spiegava, “ma anche il più bravo nello spogliare i risparmiatori attraverso le scatole cinesi, le azioni di risparmio, i sovrapprezzi azionari, tutti i trucchi possibili e immaginabili per ottenere il massimo dal mercato dando in cambio il minimo”. Purtroppo Borsa non è più tra noi e non può vedere la fine di una storia che lo appassionava. Si chiedeva se la natura profonda dell’Ingegnere fosse quella dell’industriale teso ai successi concreti di un’azienda come l’Olivetti, o dello speculatore teso all’arricchimento personale. Le vicende di questi giorni ci danno la risposta [insider trading sui titoli delle banche popolari oggetto del decreto del gennaio 2015, ndr.].
L’IMMAGINE di un ultraottantenne ricchissimo che telefona al suo agente di Borsa e gli dice “ho parlato con Renzi, compra” – per realizzare in pochi giorni un guadagno di 600 mila euro sulle azioni di Banca Etruria che balzano del 65 per cento in seguito al decreto legge di riforma delle Popolari – suscita più che altro malinconia. Le persone normali, le tristi creature che 600 mila euro li guadagnano in decenni di lavoro, si chiedono: che bisogno c’era? Evidentemente non sanno che cosa sono le passioni e non capiscono che non sempre l’età ammoscia quelle autentiche.
Quello di De Benedetti per il trading, il giocare in Borsa, sport di per sé assolutamente legittimo, è un grande amore noto da sempre. Che il trading tendesse a scivolare nell’insider trading (il colpaccio realizzato grazie alla disponibilità di informazioni privilegiate) è rimasto più che altro un sospetto dei suoi nemici del quale mai si è avuta la prova. Solo nel 1997 l’Ingegnere do- vette patteggiare una pena pecuniaria, quando la Procura di Torino lo accusò di aver fatto il furbo con le azioni Olivetti in una circostanza vissuta con amarezza da tutta Italia. Nell’estate del ’96 l’Olivetti presentò un bilancio semestrale in forte perdita e ne fu squassata, De Benedetti mollò la presidenza e fu il momento di svolta, la fine del sogno industriale di A- driano Olivetti. Pochi giorni prima che le cose si sapessero e i titoli crollassero, De Benedetti, secondo l’accusa, si era affrettato e vendere parte delle sue azioni per ricomprarle a molto meno dopo i ribassi. L’Ingegnere ha sempre negato che il patteggiamento fosse un’ammissione di colpa.
Più recentemente c’è stata una storia se possibile ancora più malinconica del colpaccio sulle Popolari. La Consob nel 2010 ha sanzionato la cognata di De Benedetti Renata Cornacchia, sua figlia e il genero, per complessivi 340 mila euro per aver fatto insider trading nell’estate 2005 sulle azioni della Cdb Web Tech. Era l’incubatore di imprese quotato in Borsa sul quale, secondo le notizie di allora, si sarebbe realizzata l’inedita alleanza De Benedetti-Berlusconi, poi naufragata. Quando il titolo volò in Borsa qualcuno, informato con debito anticipo, si era già servito. Alla fine, tornati pessimi come d’abitudine i rapporti tra l’Ingegnere e il suo arcinemico, toccò a Marina Berlusconi, a nome della specchiata famiglia, accusare De Benedetti di essere un militante dell’insider trading.
SAREBBE RIDUTTIVO, però, limitare i momenti neri di De Benedetti a questi piccoli incidenti, o all’arresto nel 1993 con l’accusa di aver pagato tangenti alle Poste per piazzare le telescriventi Olivetti (sarà prosciolto e rivendicherà di aver pagato miliardi di lire ai politici in quanto concusso, cioè vittima). La sua lunga carriera, dai famosi cento giorni alla Fiat al decennio d’oro dell’Olivetti, alle fortune editoriali con Repubblica ed Espresso, ha conosciuto ben altre sconfitte. Dalla distruzione dell’Olivetti, vent’anni fa, all’esplosione di Sorgenia, società elettrica affidata al figlio Rodolfo, che ha mollato alle banche creditrici un buco di 2 miliardi. Senza dimenticare i guai giudiziari dopo il crac dell’Ambrosiano (lasciò l’istituto con una lauta buonuscita poco prima del disastro), da cui verrà assolto in Cassazione nel 1998.
I precedenti
Nel ’97 patteggiò una pena per le furbizie sui titoli di Ivrea.
Nel 2010 multati figlia e genero
Le virtù
Secondo Marco Borsa era “il più bravo a fare affari e a spogliare i risparmiatori”
Vita dell’Ingegnere, dal declino Olivetti al crac Ambrosiano è spesso cascato sui peccati finanziari.
E qualche condanna
■ I 100 giorni alla Fiat, il crac Ambrosiano, l’arresto per Tangentopoli, il disastro di Olivetti e Sorgenia e i precedenti (anche in famiglia) dei blitz in Borsa
Venticinque anni fa un maestro del giornalismo economico come Marco Borsa definì Carlo De Benedetti come “il più bravo a tuffarsi nella finanza speculativa” degli anni Ottanta: “Nel bene e nel male resta il maestro”, spiegava, “ma anche il più bravo nello spogliare i risparmiatori attraverso le scatole cinesi, le azioni di risparmio, i sovrapprezzi azionari, tutti i trucchi possibili e immaginabili per ottenere il massimo dal mercato dando in cambio il minimo”. Purtroppo Borsa non è più tra noi e non può vedere la fine di una storia che lo appassionava. Si chiedeva se la natura profonda dell’Ingegnere fosse quella dell’industriale teso ai successi concreti di un’azienda come l’Olivetti, o dello speculatore teso all’arricchimento personale. Le vicende di questi giorni ci danno la risposta [insider trading sui titoli delle banche popolari oggetto del decreto del gennaio 2015, ndr.].
L’IMMAGINE di un ultraottantenne ricchissimo che telefona al suo agente di Borsa e gli dice “ho parlato con Renzi, compra” – per realizzare in pochi giorni un guadagno di 600 mila euro sulle azioni di Banca Etruria che balzano del 65 per cento in seguito al decreto legge di riforma delle Popolari – suscita più che altro malinconia. Le persone normali, le tristi creature che 600 mila euro li guadagnano in decenni di lavoro, si chiedono: che bisogno c’era? Evidentemente non sanno che cosa sono le passioni e non capiscono che non sempre l’età ammoscia quelle autentiche.
Quello di De Benedetti per il trading, il giocare in Borsa, sport di per sé assolutamente legittimo, è un grande amore noto da sempre. Che il trading tendesse a scivolare nell’insider trading (il colpaccio realizzato grazie alla disponibilità di informazioni privilegiate) è rimasto più che altro un sospetto dei suoi nemici del quale mai si è avuta la prova. Solo nel 1997 l’Ingegnere do- vette patteggiare una pena pecuniaria, quando la Procura di Torino lo accusò di aver fatto il furbo con le azioni Olivetti in una circostanza vissuta con amarezza da tutta Italia. Nell’estate del ’96 l’Olivetti presentò un bilancio semestrale in forte perdita e ne fu squassata, De Benedetti mollò la presidenza e fu il momento di svolta, la fine del sogno industriale di A- driano Olivetti. Pochi giorni prima che le cose si sapessero e i titoli crollassero, De Benedetti, secondo l’accusa, si era affrettato e vendere parte delle sue azioni per ricomprarle a molto meno dopo i ribassi. L’Ingegnere ha sempre negato che il patteggiamento fosse un’ammissione di colpa.
Più recentemente c’è stata una storia se possibile ancora più malinconica del colpaccio sulle Popolari. La Consob nel 2010 ha sanzionato la cognata di De Benedetti Renata Cornacchia, sua figlia e il genero, per complessivi 340 mila euro per aver fatto insider trading nell’estate 2005 sulle azioni della Cdb Web Tech. Era l’incubatore di imprese quotato in Borsa sul quale, secondo le notizie di allora, si sarebbe realizzata l’inedita alleanza De Benedetti-Berlusconi, poi naufragata. Quando il titolo volò in Borsa qualcuno, informato con debito anticipo, si era già servito. Alla fine, tornati pessimi come d’abitudine i rapporti tra l’Ingegnere e il suo arcinemico, toccò a Marina Berlusconi, a nome della specchiata famiglia, accusare De Benedetti di essere un militante dell’insider trading.
SAREBBE RIDUTTIVO, però, limitare i momenti neri di De Benedetti a questi piccoli incidenti, o all’arresto nel 1993 con l’accusa di aver pagato tangenti alle Poste per piazzare le telescriventi Olivetti (sarà prosciolto e rivendicherà di aver pagato miliardi di lire ai politici in quanto concusso, cioè vittima). La sua lunga carriera, dai famosi cento giorni alla Fiat al decennio d’oro dell’Olivetti, alle fortune editoriali con Repubblica ed Espresso, ha conosciuto ben altre sconfitte. Dalla distruzione dell’Olivetti, vent’anni fa, all’esplosione di Sorgenia, società elettrica affidata al figlio Rodolfo, che ha mollato alle banche creditrici un buco di 2 miliardi. Senza dimenticare i guai giudiziari dopo il crac dell’Ambrosiano (lasciò l’istituto con una lauta buonuscita poco prima del disastro), da cui verrà assolto in Cassazione nel 1998.
I precedenti
Nel ’97 patteggiò una pena per le furbizie sui titoli di Ivrea.
Nel 2010 multati figlia e genero
Le virtù
Secondo Marco Borsa era “il più bravo a fare affari e a spogliare i risparmiatori”
Ultima modifica di ggallozz il Gio Gen 11, 2018 4:15 pm - modificato 1 volta.
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- Messaggio n°4
Carlo Debenedetti
da Il giornale Marcello Zacché - Ven, 04/03/2016
L'Ingegnere e gli Agnelli: storia di trame, rivalità e di quel licenziamento
Oggi si può dire e scrivere che Carlo De Benedetti, nel 1976, è stato «allontanato» dalla Fiat dopo soli 100 giorni passati a fare l'amministratore delegato.
«Allontanato», vale a dire «licenziato». Si può dire perché un giudice, a Milano, il 21 settembre scorso, ha assolto il presidente della Pirelli, Marco Tronchetti Provera, dall'accusa di diffamazione lanciata da De Benedetti sulla questione. Quarant'anni dopo, almeno, abbiamo una certezza. Come si legge sulla sentenza, in sintesi, l'«allontanamento» fu dovuto alla diversità di «ambiente, mentalità e tradizione», segnalato da Gianluigi Gabetti, uno dei due o tre uomini più vicini a Gianni Agnelli per tutta la sua vita privata e imprenditoriale.
Ambiente, mentalità e tradizione diverse non avevano impedito all'Avvocato, classe 1921, di «invaghirsi» di un altro torinese come lui, 13 anni più giovane, nato nel '34 da famiglia di ebrei sefarditi, perseguitata dopo le leggi razziali, che abitava nella stessa via torinese, in Corso Marconi. Un interesse nato nei primi anni Settanta, quando Carlo si era fatto notare per aver acquistato in Borsa la Gilardini, oscura società immobiliare trasformata in due anni in gioiellino della metalmeccanica. E dal momento che non si diventa presidenti degli industriali torinesi senza l'investitura degli Agnelli, quando Carlo venne eletto nel '74 l'idillio era già nato. Per sua stessa ammissione, «io sono un borghese, lui è un re», dirà De Benedetti negli anni. Ma è il borghese che il presidente della Fiat volle assumere a tutti i costi nel '76. Fino a strapagargli la Gilardini 22 miliardi di lire (contro una valutazione di 11), che gli valsero il 5% della Fiat e il posto di ad. A una condizione, imposta dall'ad di Mediobanca, Enrico Cuccia: quella di affiancargli l'allora direttore finanziario Cesare Romiti. Ed è con Romiti, più che con l'Avvocato, che i 100 giorni si consumano rapidamente, fino alla rottura. Quando gli Agnelli appoggiano Romiti perché l'intraprendenza e la spregiudicatezza dell'Ingegnere arrivano a mettere a rischio non solo l'unità della famiglia, ma l'intero controllo della Fiat.
Sarebbe però errato pensare ai due, Avvocato e Ingegnere, come a eterni nemici. In realtà i rapporti non si interromperanno mai, al punto che tra le lunghe telefonate domenicali che Gianni Agnelli dedicava a interlocutori selezionati per parlare di grandi scenari c'era anche quella con Carlo De Benedetti. E non è un caso che a De Benedetti viene attribuito un altro piano per scalare la Fiat, finita sull'orlo del baratro all'inizio di questo secolo, ma solo dopo la scomparsa dell'Avvocato, nel 2003, e del fratello Umberto l'anno dopo. Un piano segreto e vago che spinse però Gabetti a quell'operazione di equity-swap tra Ifil ed Exor che gli è poi costata anni di processi. Piuttosto, si trova traccia, negli archivi, di un episodio tanto poco noto quanto di straordinaria attualità: il tentativo dei due di comprare un giornale.
Sarebbe avvenuto negli anni Ottanta quando l'Ingegnere pensava di scalare la Italmobiliare di Carlo Pesenti avendo dalla sua l'Avvocato. Una holding che, tra l'altro, controllava il quotidiano romano il Tempo. Ma di nuovo Cuccia, addirittura in tandem con il nemico Andreotti, stopparono l'operazione. E così chiosò Agnelli: «Caro Ingegnere, non si può scalare un gruppo che controlla un giornale che esce a due passi da Palazzo Chigi». De Benedetti soddisfò le sue ambizioni editoriali prendendo il controllo di Repubblica nell'89, mentre la Stampa era degli Agnelli già dal 1920. Ma come ha scritto Giuliano Ferrara, i due quotidiani diventano poi «giornali cognati». Diversi per la vicinanza al governo e all'establishment che il quotidiano della Fiat ha sempre avuto, ma parenti, visto che uno dei fondatori di Repubblica, Carlo Caracciolo, era cognato di Agnelli, mentre Eugenio Scalfari è stato il genero di Giulio De Benedetti, storico direttore della Stampa. La quale, a sua volta, ha dato a Repubblica due dei tre direttori che ha avuto in tutta la sua storia: Ezio Mauro e l'attuale Mario Calabresi.
A mettere insieme le cose dopo questo mezzo secolo di storie varie, il destino ha indicato ora le nuove generazioni: John Elkann, nipote designato dall'Avvocato alla guida del regno; e Rodolfo De Benedetti, a cui il padre ha da anni girato sia il suo pacchetto di azioni Cir, sia il ruolo di numero uno del gruppo. Che poi siano questi i soggetti più idonei a far funzionare la nuova impresa e l'alleanza tra gli Agnelli e i De Benedetti nel ventunesimo secolo, si vedrà. Di certo i precedenti non sono molto incoraggianti: Elkann ha investito, tra Stampa e Corriere, circa 200 milioni negli ultimi tre anni, con risultati abbastanza disastrosi soprattutto in via Solferino, dove il manager da lui fortemente voluto, Pietro Scott Jovane, ha fallito il risanamento. Rodolfo, peraltro, non ha dalla sua i meriti del buon andamento del gruppo Espresso, gestito dalla supermanager Monica Mondardini. Piuttosto gli viene solitamente attribuito il crac da due miliardi del gruppo energetico Sorgenia. Ma i tempi cambiano e ora tocca a loro.
L'Ingegnere e gli Agnelli: storia di trame, rivalità e di quel licenziamento
Oggi si può dire e scrivere che Carlo De Benedetti, nel 1976, è stato «allontanato» dalla Fiat dopo soli 100 giorni passati a fare l'amministratore delegato.
«Allontanato», vale a dire «licenziato». Si può dire perché un giudice, a Milano, il 21 settembre scorso, ha assolto il presidente della Pirelli, Marco Tronchetti Provera, dall'accusa di diffamazione lanciata da De Benedetti sulla questione. Quarant'anni dopo, almeno, abbiamo una certezza. Come si legge sulla sentenza, in sintesi, l'«allontanamento» fu dovuto alla diversità di «ambiente, mentalità e tradizione», segnalato da Gianluigi Gabetti, uno dei due o tre uomini più vicini a Gianni Agnelli per tutta la sua vita privata e imprenditoriale.
Ambiente, mentalità e tradizione diverse non avevano impedito all'Avvocato, classe 1921, di «invaghirsi» di un altro torinese come lui, 13 anni più giovane, nato nel '34 da famiglia di ebrei sefarditi, perseguitata dopo le leggi razziali, che abitava nella stessa via torinese, in Corso Marconi. Un interesse nato nei primi anni Settanta, quando Carlo si era fatto notare per aver acquistato in Borsa la Gilardini, oscura società immobiliare trasformata in due anni in gioiellino della metalmeccanica. E dal momento che non si diventa presidenti degli industriali torinesi senza l'investitura degli Agnelli, quando Carlo venne eletto nel '74 l'idillio era già nato. Per sua stessa ammissione, «io sono un borghese, lui è un re», dirà De Benedetti negli anni. Ma è il borghese che il presidente della Fiat volle assumere a tutti i costi nel '76. Fino a strapagargli la Gilardini 22 miliardi di lire (contro una valutazione di 11), che gli valsero il 5% della Fiat e il posto di ad. A una condizione, imposta dall'ad di Mediobanca, Enrico Cuccia: quella di affiancargli l'allora direttore finanziario Cesare Romiti. Ed è con Romiti, più che con l'Avvocato, che i 100 giorni si consumano rapidamente, fino alla rottura. Quando gli Agnelli appoggiano Romiti perché l'intraprendenza e la spregiudicatezza dell'Ingegnere arrivano a mettere a rischio non solo l'unità della famiglia, ma l'intero controllo della Fiat.
Sarebbe però errato pensare ai due, Avvocato e Ingegnere, come a eterni nemici. In realtà i rapporti non si interromperanno mai, al punto che tra le lunghe telefonate domenicali che Gianni Agnelli dedicava a interlocutori selezionati per parlare di grandi scenari c'era anche quella con Carlo De Benedetti. E non è un caso che a De Benedetti viene attribuito un altro piano per scalare la Fiat, finita sull'orlo del baratro all'inizio di questo secolo, ma solo dopo la scomparsa dell'Avvocato, nel 2003, e del fratello Umberto l'anno dopo. Un piano segreto e vago che spinse però Gabetti a quell'operazione di equity-swap tra Ifil ed Exor che gli è poi costata anni di processi. Piuttosto, si trova traccia, negli archivi, di un episodio tanto poco noto quanto di straordinaria attualità: il tentativo dei due di comprare un giornale.
Sarebbe avvenuto negli anni Ottanta quando l'Ingegnere pensava di scalare la Italmobiliare di Carlo Pesenti avendo dalla sua l'Avvocato. Una holding che, tra l'altro, controllava il quotidiano romano il Tempo. Ma di nuovo Cuccia, addirittura in tandem con il nemico Andreotti, stopparono l'operazione. E così chiosò Agnelli: «Caro Ingegnere, non si può scalare un gruppo che controlla un giornale che esce a due passi da Palazzo Chigi». De Benedetti soddisfò le sue ambizioni editoriali prendendo il controllo di Repubblica nell'89, mentre la Stampa era degli Agnelli già dal 1920. Ma come ha scritto Giuliano Ferrara, i due quotidiani diventano poi «giornali cognati». Diversi per la vicinanza al governo e all'establishment che il quotidiano della Fiat ha sempre avuto, ma parenti, visto che uno dei fondatori di Repubblica, Carlo Caracciolo, era cognato di Agnelli, mentre Eugenio Scalfari è stato il genero di Giulio De Benedetti, storico direttore della Stampa. La quale, a sua volta, ha dato a Repubblica due dei tre direttori che ha avuto in tutta la sua storia: Ezio Mauro e l'attuale Mario Calabresi.
A mettere insieme le cose dopo questo mezzo secolo di storie varie, il destino ha indicato ora le nuove generazioni: John Elkann, nipote designato dall'Avvocato alla guida del regno; e Rodolfo De Benedetti, a cui il padre ha da anni girato sia il suo pacchetto di azioni Cir, sia il ruolo di numero uno del gruppo. Che poi siano questi i soggetti più idonei a far funzionare la nuova impresa e l'alleanza tra gli Agnelli e i De Benedetti nel ventunesimo secolo, si vedrà. Di certo i precedenti non sono molto incoraggianti: Elkann ha investito, tra Stampa e Corriere, circa 200 milioni negli ultimi tre anni, con risultati abbastanza disastrosi soprattutto in via Solferino, dove il manager da lui fortemente voluto, Pietro Scott Jovane, ha fallito il risanamento. Rodolfo, peraltro, non ha dalla sua i meriti del buon andamento del gruppo Espresso, gestito dalla supermanager Monica Mondardini. Piuttosto gli viene solitamente attribuito il crac da due miliardi del gruppo energetico Sorgenia. Ma i tempi cambiano e ora tocca a loro.
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- Messaggio n°5
Carlo Debenedetti e Sorgenia
Sorgenia guida la lista degli insolventi
dal Sole 24 ore (L'articolo è stato cancellato dal sito del Sole24...).
Nella lista nera dei grandi debitori morosi, che hanno affossato Mps portandola a cumulare 47 miliardi di prestiti malati, ci sono nomi eccellenti dell’Italia che conta. Dai grandi imprenditori, agli immobiliaristi, al sistema delle coop rosse fino alla giungla delle partecipate pubbliche della Toscana. Il parterre è ecumenico sul piano politico. Centro-sinistra, Centro-destra pari sono. Del resto per una banca guidata per decenni da una Fondazione espressione della politica era quasi naturale l’arma del credito come strumento di consenso e di scambio.
Tra i protagonisti di spicco più emblematici, come ha ricostruito Il Sole24Ore, figura sicuramente la famiglia De Benedetti e la sua Sorgenia. Emblematica per dimensioni e per quel ruolo innaturale che ha svolto Mps. La Sorgenia si è indebitata per 1,8 miliardi con il sistema bancario. La sola Mps, chissà come, si è caricata di ben un terzo di quel fardello. Seicento milioni erano appannaggio del solo istituto senese che ha fatto lo sforzo più ingente rispetto al pool di 15 istituti che avevano finanziato la società elettrica finita a gambe all’aria. I De Benedetti capita l’antifona della crisi irreversibile non si sono resi disponibili a ricapitalizzare come da richiesta delle banche. Alla fine il «pacco» Sorgenia è finito tutto in mano alle banche che hanno convertito l’esposizione creditizia in azioni. E Mps si ritrova ora azionista della Nuova Sorgenia con il 17% del capitale. Per rientrare dal credito prima o poi, occorrerà risanare la società e venderla. Oggi Sorgenia è tra gli incagli di Mps. Non solo, nel 2015 la banca ha svalutato i titoli Sorgenia per 36 milioni di euro. ../.. la quota in Nuova Sorgenia di Mps è al 17% dopo la conversione del debito.
Carlo Festa
Fabio Pavesi
SORGENIA-MPS: DE BENEDETTI, PREDATORE DEI RISPARMI DEGLI ITALIANI
di Vladimiro Iuliano
Vediamo un po’. Sorgenia di Carlo De Benedetti aveva debiti per quasi due miliardi con le banche. Con la sola banca Monte dei Paschi di Siena precisamente 665 milioni.
Nel 2013 la Cir di De Benedetti ha cominciato ad uscire dalla società e la banca Monte dei Pacchi di Siena è ancora lì che aspetta di ricevere indietro i soldi. Nel frattempo il Tesoro, cioè Pier Carlo Padoan, con i soldi pubblici di tutti noi, ha ripianato, per imposizione del governo mai scelto dagli italiani, le perdite, i buffi e il disastro Mps. Nessuno è ritenuto responsabile.
Sono tutti assolti per principio. A rimetterci è sempre Pantalone, cioè noi cui vengono sfilati i soldi dalle tasche. La società elettrica Sorgenia, holding industriale della famiglia De Benedetti, è stata in pratica scaricata, con il suo fardello di 1,8 miliardi di debiti, sulle banche creditrici, per cui ha “socializzato” le perdite, vale a dire che ha preso soldi a sbafo, non li ha mai restituiti, e il buffo o debito enorme è stato fatto cadere sulle banche creditrici che, mute, lo hanno scaricato via via sui risparmiatori italiani, cioè noi. Così, è davvero facile fare gli “imprenditori”. Paghiamo noi. Nel caso – eventuale – si guadagni, guadagnano loro. Con i soldi dati da noi.
Carlo DeBenedetti, più che l’alfiere del capitalismo democratico, è il predatore dei cittadini italiani, tramite banche italiane compiacenti e colluse. Sono infatti diciassette le banche che hanno regalato i soldi dei risparmiatori italiani a DeBenedetti ed ai suoi affari fallimentari, rimanendo – volutamente – con il cerino in mano. De Benedetti è la tessera numero 1 del PD che ha raggirato, approfittato, preso per i fondelli, e depredato i soldi degli italiani concessigli graziosamente da un folto gruppo di banche, prima tra tutte Monte dei Paschi di Siena. Nessuno ne risponde, nessuno dice né ha detto niente. Non un giudice che abbia sollevato un’azione, non un bancario o banchiere che abbia detto acca. Silenzio assoluto: DeBenedetti ruba agli italiani. Monte dei Paschi di Siena aveva crediti verso Sorgenia per più di un terzo dell’esposizione complessiva delle banche per 1,8 miliardi, pari a 665 milioni di euro, eppure non ha levato nemmeno un gridolino, in compenso suicidando David Rossi perché non parlasse. L’orologio infatti che cade nel vicolo dopo mezz’ora dall’omicidio, la pronta irragionevole, insensata ed ingiustificata chiusura irregolare delle indagini da parte di giudici sospetti, conducono ad un omicidio “di gruppo”, un intero contingente di animali efferati contro la vittima che voleva parlare, come aveva scritto nelle numerose mail inoltrate, poi cancellate, all’amministratore delegato Mps Fabrizio Viola.
Come verranno mai recuperati questi soldi degli italiani posto che Mps è stata in tutta fretta nazionalizzata? Mps era peraltro anche, guarda il caso, azionista con l’1 per cento, ed oggi si ritrova in pancia la Nuova Sorgenia con i suoi crediti avariati possedendo ben il 16,6 per cento di Nuova Sorgenia. Un bel regalo a Mps ed allo Stato italiano, agli italiani tutti. Il crac di Sorgenia non è comunque l’eccezione negli affari disastrosi di DeBenedetti e famiglia, “imprenditori”, perché di pacchi, cioè di fregature, ne hanno date a pioggia. E’ dal 2010 che Sorgenia “produce” margini operativi netti negativi, perdite su perdite di milioni, ben 537 milioni nel 2013, che nessuno nota né eccepisce. Al contrario si continua a regalarle soldi, più cioè Sorgenia sprofonda più è finanziata dalle banche colluse.
In un solo anno le vengono regalati 440 milioni, il clou lo si raggiunge nel 2013 quando a Sorgenia piovono in pancia 1,85 miliardi “prestati” cioè regalati, e pronti per la dissipazione di De Benedetti, dalle banche, tantissime banche. La tessera numero uno del Pd, più va in rovina, più nessuno dice niente, e più fa cassa. Con i nostri soldi. I debiti superano di due volte il capitale e valgono dieci volte il margine lordo, nessuno però chiude i rubinetti, la liquidità nostra passa veloce nelle tasche della tessera numero uno Pd, De Benedetti. Senza che nessuno dica niente, noti niente, faccia alcunchè.
Rodolfo DeBenedetti, figlio di Carlo, si fionda allora a prendere ben bene e meglio per i fondelli gli italiani, cioè noi tutti, e azzera il valore di Sorgenia nel bilancio di Cir, pronto all’abbandono della carcassa. Dei debiti agli italiani, i DeBenedetti con residenza in Svizzera, non hanno scucito un euro. Non si può nemmeno dire che non abbiano avuto i soldi dato che, nel 2013, come tutti ricordano, i giudici danno loro una mano e condannano Silvio Berlusconi al pagamento sull’unghia ai De Benedetti di 344 milioni per il lodo Mondadori. Niente, manco i soldi ... girati dai giudici sono destinati agli italiani. Debenedetti usa quei soldi per comprare un bond Cir che, holding proprietaria del 53 per cento di Sorgenia nel 2013, aveva un surplus di liquidità di 538 milioni tra conti correnti, titoli di Stato e bond corporate. E se li tengono. Ai debiti di DeBenedetti hanno pensato le banche, Mps in testa, ed i 600 milioni dell’eccesso di debito li hanno messi i creditori bancari.
Nel 2015 i DeBenedetti escono, deconsolidano due miliardi circa di debiti e se ne stanno senza guai con una liquidità di 418 milioni di cui 252 investiti in fondi obbligazionari. Ad un italiano che non ottemperi ai rientri, la banca pignora la casa e tutto, a un imprenditore viene chiuso il fido, ai clienti viene alzato l’onere sul conto, i DeBenedetti hanno la cassa liquida per mezzo miliardo di euro e nessun bancario e banchiere, nessun giudice, nessuna Corte dei Conti, nessuno chiede ed aggredisce quelle liquidità per fare compartecipare almeno al salvataggio.
Tutti conniventi, e collusi. E le banche si lamentano delle sofferenze.
Nel 2017, ancora un nuovo regalo a DeBenedetti. Monte dei Paschi di Siena ha ancora un’esposizione di 560 milioni di euro su Sorgenia e altri istituti di credito accordano una nuova moratoria sul debito della Nuova Sorgenia. Mps, nazionalizzata, fa pagare agli italiani. Finchè nessuno solleva responsabilità e si farà dare indietro fino all’ultimo euro, con la responsabilità giudiziale ed economica personale e societaria, l’Italia dimentichi il libero mercato perché non esiste né può esistere. C’è solo corruttela, omertà, corruzione e mercato viziato e sballato, come De Benedetti “insegna”.
dal Sole 24 ore (L'articolo è stato cancellato dal sito del Sole24...).
Nella lista nera dei grandi debitori morosi, che hanno affossato Mps portandola a cumulare 47 miliardi di prestiti malati, ci sono nomi eccellenti dell’Italia che conta. Dai grandi imprenditori, agli immobiliaristi, al sistema delle coop rosse fino alla giungla delle partecipate pubbliche della Toscana. Il parterre è ecumenico sul piano politico. Centro-sinistra, Centro-destra pari sono. Del resto per una banca guidata per decenni da una Fondazione espressione della politica era quasi naturale l’arma del credito come strumento di consenso e di scambio.
Tra i protagonisti di spicco più emblematici, come ha ricostruito Il Sole24Ore, figura sicuramente la famiglia De Benedetti e la sua Sorgenia. Emblematica per dimensioni e per quel ruolo innaturale che ha svolto Mps. La Sorgenia si è indebitata per 1,8 miliardi con il sistema bancario. La sola Mps, chissà come, si è caricata di ben un terzo di quel fardello. Seicento milioni erano appannaggio del solo istituto senese che ha fatto lo sforzo più ingente rispetto al pool di 15 istituti che avevano finanziato la società elettrica finita a gambe all’aria. I De Benedetti capita l’antifona della crisi irreversibile non si sono resi disponibili a ricapitalizzare come da richiesta delle banche. Alla fine il «pacco» Sorgenia è finito tutto in mano alle banche che hanno convertito l’esposizione creditizia in azioni. E Mps si ritrova ora azionista della Nuova Sorgenia con il 17% del capitale. Per rientrare dal credito prima o poi, occorrerà risanare la società e venderla. Oggi Sorgenia è tra gli incagli di Mps. Non solo, nel 2015 la banca ha svalutato i titoli Sorgenia per 36 milioni di euro. ../.. la quota in Nuova Sorgenia di Mps è al 17% dopo la conversione del debito.
Carlo Festa
Fabio Pavesi
SORGENIA-MPS: DE BENEDETTI, PREDATORE DEI RISPARMI DEGLI ITALIANI
di Vladimiro Iuliano
Vediamo un po’. Sorgenia di Carlo De Benedetti aveva debiti per quasi due miliardi con le banche. Con la sola banca Monte dei Paschi di Siena precisamente 665 milioni.
Nel 2013 la Cir di De Benedetti ha cominciato ad uscire dalla società e la banca Monte dei Pacchi di Siena è ancora lì che aspetta di ricevere indietro i soldi. Nel frattempo il Tesoro, cioè Pier Carlo Padoan, con i soldi pubblici di tutti noi, ha ripianato, per imposizione del governo mai scelto dagli italiani, le perdite, i buffi e il disastro Mps. Nessuno è ritenuto responsabile.
Sono tutti assolti per principio. A rimetterci è sempre Pantalone, cioè noi cui vengono sfilati i soldi dalle tasche. La società elettrica Sorgenia, holding industriale della famiglia De Benedetti, è stata in pratica scaricata, con il suo fardello di 1,8 miliardi di debiti, sulle banche creditrici, per cui ha “socializzato” le perdite, vale a dire che ha preso soldi a sbafo, non li ha mai restituiti, e il buffo o debito enorme è stato fatto cadere sulle banche creditrici che, mute, lo hanno scaricato via via sui risparmiatori italiani, cioè noi. Così, è davvero facile fare gli “imprenditori”. Paghiamo noi. Nel caso – eventuale – si guadagni, guadagnano loro. Con i soldi dati da noi.
Carlo DeBenedetti, più che l’alfiere del capitalismo democratico, è il predatore dei cittadini italiani, tramite banche italiane compiacenti e colluse. Sono infatti diciassette le banche che hanno regalato i soldi dei risparmiatori italiani a DeBenedetti ed ai suoi affari fallimentari, rimanendo – volutamente – con il cerino in mano. De Benedetti è la tessera numero 1 del PD che ha raggirato, approfittato, preso per i fondelli, e depredato i soldi degli italiani concessigli graziosamente da un folto gruppo di banche, prima tra tutte Monte dei Paschi di Siena. Nessuno ne risponde, nessuno dice né ha detto niente. Non un giudice che abbia sollevato un’azione, non un bancario o banchiere che abbia detto acca. Silenzio assoluto: DeBenedetti ruba agli italiani. Monte dei Paschi di Siena aveva crediti verso Sorgenia per più di un terzo dell’esposizione complessiva delle banche per 1,8 miliardi, pari a 665 milioni di euro, eppure non ha levato nemmeno un gridolino, in compenso suicidando David Rossi perché non parlasse. L’orologio infatti che cade nel vicolo dopo mezz’ora dall’omicidio, la pronta irragionevole, insensata ed ingiustificata chiusura irregolare delle indagini da parte di giudici sospetti, conducono ad un omicidio “di gruppo”, un intero contingente di animali efferati contro la vittima che voleva parlare, come aveva scritto nelle numerose mail inoltrate, poi cancellate, all’amministratore delegato Mps Fabrizio Viola.
Come verranno mai recuperati questi soldi degli italiani posto che Mps è stata in tutta fretta nazionalizzata? Mps era peraltro anche, guarda il caso, azionista con l’1 per cento, ed oggi si ritrova in pancia la Nuova Sorgenia con i suoi crediti avariati possedendo ben il 16,6 per cento di Nuova Sorgenia. Un bel regalo a Mps ed allo Stato italiano, agli italiani tutti. Il crac di Sorgenia non è comunque l’eccezione negli affari disastrosi di DeBenedetti e famiglia, “imprenditori”, perché di pacchi, cioè di fregature, ne hanno date a pioggia. E’ dal 2010 che Sorgenia “produce” margini operativi netti negativi, perdite su perdite di milioni, ben 537 milioni nel 2013, che nessuno nota né eccepisce. Al contrario si continua a regalarle soldi, più cioè Sorgenia sprofonda più è finanziata dalle banche colluse.
In un solo anno le vengono regalati 440 milioni, il clou lo si raggiunge nel 2013 quando a Sorgenia piovono in pancia 1,85 miliardi “prestati” cioè regalati, e pronti per la dissipazione di De Benedetti, dalle banche, tantissime banche. La tessera numero uno del Pd, più va in rovina, più nessuno dice niente, e più fa cassa. Con i nostri soldi. I debiti superano di due volte il capitale e valgono dieci volte il margine lordo, nessuno però chiude i rubinetti, la liquidità nostra passa veloce nelle tasche della tessera numero uno Pd, De Benedetti. Senza che nessuno dica niente, noti niente, faccia alcunchè.
Rodolfo DeBenedetti, figlio di Carlo, si fionda allora a prendere ben bene e meglio per i fondelli gli italiani, cioè noi tutti, e azzera il valore di Sorgenia nel bilancio di Cir, pronto all’abbandono della carcassa. Dei debiti agli italiani, i DeBenedetti con residenza in Svizzera, non hanno scucito un euro. Non si può nemmeno dire che non abbiano avuto i soldi dato che, nel 2013, come tutti ricordano, i giudici danno loro una mano e condannano Silvio Berlusconi al pagamento sull’unghia ai De Benedetti di 344 milioni per il lodo Mondadori. Niente, manco i soldi ... girati dai giudici sono destinati agli italiani. Debenedetti usa quei soldi per comprare un bond Cir che, holding proprietaria del 53 per cento di Sorgenia nel 2013, aveva un surplus di liquidità di 538 milioni tra conti correnti, titoli di Stato e bond corporate. E se li tengono. Ai debiti di DeBenedetti hanno pensato le banche, Mps in testa, ed i 600 milioni dell’eccesso di debito li hanno messi i creditori bancari.
Nel 2015 i DeBenedetti escono, deconsolidano due miliardi circa di debiti e se ne stanno senza guai con una liquidità di 418 milioni di cui 252 investiti in fondi obbligazionari. Ad un italiano che non ottemperi ai rientri, la banca pignora la casa e tutto, a un imprenditore viene chiuso il fido, ai clienti viene alzato l’onere sul conto, i DeBenedetti hanno la cassa liquida per mezzo miliardo di euro e nessun bancario e banchiere, nessun giudice, nessuna Corte dei Conti, nessuno chiede ed aggredisce quelle liquidità per fare compartecipare almeno al salvataggio.
Tutti conniventi, e collusi. E le banche si lamentano delle sofferenze.
Nel 2017, ancora un nuovo regalo a DeBenedetti. Monte dei Paschi di Siena ha ancora un’esposizione di 560 milioni di euro su Sorgenia e altri istituti di credito accordano una nuova moratoria sul debito della Nuova Sorgenia. Mps, nazionalizzata, fa pagare agli italiani. Finchè nessuno solleva responsabilità e si farà dare indietro fino all’ultimo euro, con la responsabilità giudiziale ed economica personale e societaria, l’Italia dimentichi il libero mercato perché non esiste né può esistere. C’è solo corruttela, omertà, corruzione e mercato viziato e sballato, come De Benedetti “insegna”.
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