Centro-sinistra (2006-2008), governo Prodi 2
65. Indulto extralarge (2006). Nel luglio 2006 centro-sinistra e centro-destra approvano l’indulto Mastella (contrari Idv, An, Lega, astenuto il Pdci): 3 anni di sconto di pena a chi ha commesso reati prima del 2 maggio di quell’anno. Lo sconto vale anche per i reati contro la pubblica amministrazione (che sul sovraffollamento della carceri non incidono per nulla), compresa la corruzione giudiziaria, altrimenti Previti resterebbe agli arresti domiciliari. Una nuova legge ad personam che regala anche al Cavaliere un «bonus» di tre anni da spendere nel caso in cui fosse condannato in via definitiva.
66. Ordinamento Mastella (2006-2007). Dopo aver solennemente promesso agli elettori di cancellare l’ordinamento giudiziario Castelli prima che entrino in vigore i decreti delegati, il ministro della Giustizia Clemente Mastella si mette d’accordo col centro-destra per farlo passare quasi tutto, con qualche modesta correzione. Entrano in vigore inalterate le norme che verticizzano le procure e riformano gli illeciti disciplinari dei magistrati. I ritocchi riguardano gli altri 8 decreti delegati di Castelli. Il risultato finale è devastante: ciascun magistrato dovrà frequentare ogni quattro anni una speciale Scuola della magistratura (tre le sedi: a Bergamo, a Firenze e a Benevento, collegio elettorale del ministro) e, al termine, superare ogni volta un esame di professionalità. Dopo una bocciatura subirà il blocco dello stipendio; dopo due bocciature potrà essere revocato dalle funzioni; alla terza bocciatura dovrà essere rimosso. Un corso speciale, con annesso esame attitudinale, dovrà subire chi vuole passare dalla requirente alla giudicante o viceversa: e potrà farlo solo dopo cinque anni di servizio nella funzione precedente, e solo se cambierà distretto. Di fatto, è la separazione della carriere (mascherata da «distinzione delle funzioni»). Non solo: chi ricopre incarichi direttivi (procuratore capo, presidente di Tribunale o di Corte d’Appello) o semidirettivi (procuratore aggiunto) non può durare in carica più di 8 anni, poi è obbligato a cambiare sede oppure perde il posto e viene degradato a (per esempio a sostituto procuratore): una norma che decapita decine di procure e tribunali per mesi e mesi. Non basta ancora: per partecipare al concorso di accesso alla magistratura non basterà più la laurea in legge: bisognerà essere avvocati da almeno tre anni o giudici di pace o magistrati amministrativi o avere svolto incarichi in università o in uffici pubblici. Il che impedirà a chi proviene dai ceti più umili e non può permettersi di gravare sulla sua famiglia, di indossare la toga. Ultima sciagura: i magistrati di prima nomina (quelli che hanno già svolto un anno e mezzo di «uditorato», cioè di tirocinio accanto a un collega esperto e anziano) non potranno più fare i pm né i giudici monocratici. Siccome le sedi più disagiate, di solito, si reggono proprio sui «giudici ragazzini» distribuiti dal Csm nei posti vacanti messi a concorso per le toghe di prima nomina, mentre in seguito sono i magistrati a scegliere dove lavorare, il risultato sarà disastroso: nel giro di due anni il folle divieto della Mastella aprirà voragini in decine di procure portandole alla paralisi per mancanza di pubblici ministeri. Unica nota positiva: il Csm torna a 30 membri (20 togati e 10 laici): quanti erano prima che il governo Berlusconi li riducesse a 24.
67. Segreto di Stato su Sismi e Abu Omar (2006-2007). Quando, nel 2006 la procura di Milano scopre che uomini del Ros e i vertici del Sismi (il generale Niccolò Pollari, il suo vice Marco Mancini e il fido analista Pio Pompa) hanno aiutato la Cia a sequestrare, nel 2003 a Milano, l’imam egiziano Abu Omar, poi deportato e torturato per mesi in Egitto, e li fa rinviare a giudizio, il governo Prodi pone il segreto di Stato (come già il governo Berlusconi all’inizio del 2006), salvando Pollari e Mancini da sicura condanna. E solleva ben due conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato dinanzi alla Consulta contro i giudici di Milano, che si ostinano a processare gli spioni per sequestro di persona in base a elementi che non ritengono coperti da segreto di Stato. Non solo, ma il segreto di Stato viene apposto anche sull’archivio riservato, trovato dalla Digos nell’ufficio segreto di Pompa in via Nazionale a Roma, con dossier su magistrati, giornalisti e politici sgraditi a Berlusconi. Non contento, il centro-sinistra il 3 agosto 2007 vara pure la riforma dei servizi segreti, che contiene un codicillo salva-Pollari: quello che obbliga gli 007 a non rispondere ai giudici su fatti coperti da segreto di Stato. Così Pollari sosterrà di non potersi difendere da accuse che ritiene ingiuste perché, facendolo, violerebbe il segreto. Pollari e Mancini verranno assolti, sebbene colpevoli, perché con la nuova legge sono «improcedibili».
68. Salva-Telecom (2006). Il 20 settembre 2006 i giudici di Milano arrestano Luciano Tavaroli, fino a pochi mesi prima capo della security Telecom e altre 20 persone legate alla struttura, con l’accusa di aver spiato e schedato per anni dipendenti, fornitori, giornalisti scomodi, politici e imprenditori. L’archivio accumulato dai Tavaroli boys, migliaia di fascicoli e dossier, terrorizza il mondo politico. Che decide in tutta fretta, d’amore e d’accordo, l’immediata distruzione dei dossier, prim’ancora di sapere che cosa contengono. Mastella vara in pochi giorni un provvedimento che ordina ai giudici di bruciare immediatamente tutto il materiale sequestrato. È il decreto 259, intitolato «Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche». Il Consiglio dei ministri lo approva il 22 settembre. A nulla valgono le obiezioni dei magistrati e dello stesso ministro Di Pietro: i dossier sono il corpo del reato, mandarli al macero prima del processo è come bruciare una busta di polvere bianca appena sequestrata senza prima appurare se è farina o cocaina. O gettar via una pistola senza prima accertare se è un giocattolo o una P38. Il parlamento converte in legge il decreto, con qualche modifica, il 19 novembre con 413 sì, 1 no e 142 astenuti (Forza Italia, che avrebbe voluto peggiorare il testo un altro po’). Sarà il gip su richiesta del pm, a disporre la distruzione dei materiali illegalmente raccolti. Se però questi sono corpo di reato, il pm deve chiederne la secretazione e la custodia in un luogo protetto. Chi detiene «consapevolmente» informazioni illecite rischia fino a 5 anni di carcere. Chi le pubblica, multe da 50 mila a 1 milione di euro. Ma non basta, perché nella riforma dei servizi segreti del 2007, oltre alla norma salva-Pollari, ce n’è anche una salva-Telecom. Stavolta è nascosta nel decreto attuativo della riforma, varato l’8 aprile 2008. Fra le ragioni che possono giustificare il segreto di Stato, c’è anche «la tutela di interessi economici, finanziari, industriali, scientifici, tecnologici, sanitari ed ambientali». Una definizione talmente ampia e generica da comprendere tutto, anche i rapporti tra Sismi e Telecom. Infatti Mancini sostiene che c’era un filo diretto tra la security Telecom e il Sismi per scambi di informazioni. Dunque, come Pollari per Abu Omar, farà scena muta al processo, opponendo il segreto di Stato, che il governo Berlusconi si affretterà a confermare.
Centro-destra (2008-2010), governo Berlusconi 3
69. Lodo Alfano (2008). Nel luglio 2008, alla vigilia della sentenza nel processo Berlusconi-Mills, il Pdl tornato al governo approva la legge Alfano (detta impropriamente «lodo») che sospende i processi ai presidenti della Repubblica, della Camera, del Senato e del Consiglio sino al termine della carica. Si bloccano così per un anno e mezzo i processi Mills e Mediaset a carico di Berlusconi. Poi, nell’ottobre 2009, la Consulta boccia la legge Alfano in quanto incostituzionale e i processi ricominciano per qualche mese.
70. Legittimo impedimento (2010). Dopo aver tentato invano di varare la controriforma detta «processo breve» (che fulmina tutti i processi che durino più di 6 anni e mezzo, e quelli in corso in primo grado da più di 3 anni, compresi dunque quelli a carico del premier), per l’ostilità dei finiani, così come quella che di fatto abolirebbe le intercettazioni e imbavaglierebbe la cronaca giudiziaria, all’inizio del 2010 Berlusconi riesce di nuovo a congelare i suoi due processi (ai quali s’è aggiunto quello sul caso Mediatrade): il 10 marzo 2010 viene approvata una legge del ministro Alfano che rende automatico il «legittimo impedimento» a comparire nelle udienze per il premier e i ministri. E non solo per le attività di governo, ma anche per quelle «preparatorie e consequenziali, nonché comunque coessenziali alle funzioni di governo». Il tutto per una durata di 6 mesi, prorogabili fino a 18. Basterà una certificazione della presidenza del Consiglio e i giudici dovranno fermarsi, senza poter controllare se l’impedimento sia effettivo e legittimo. Il tutto in attesa della soluzione finale, cioè della nuova legge ad personam: il lodo Alfano bis, da approvarsi con legge costituzionale, che metterebbe definitivamente al riparo il capo dello Stato e quello del governo (e forse anche i suoi ministri) dai processi, anche per reati commessi prima di entrare in carica ed estranei dall’esercizio delle funzioni. Il nuovo scudo serve, recita la legge 51 in vigore dal 7 aprile 2010, per garantire loro «il sereno svolgimento delle funzioni». Risultato: i processi a Berlusconi sono sospesi fino all’ottobre 2011. Ma il 13 gennaio la Consulta ha ritenuto parzialmente incostituzionale il legittimo impedimento, affidando al giudice la valutazione degli impegni del premier.
71. Più Iva per Sky (2008). Il 28 novembre 2008 il governo raddoppia l’Iva a Sky, la pay-tv di Rupert Murdoch, principale concorrente di Mediaset, portandola dal 10 al 20 per cento.
72. Meno spot per Sky (2009). Il 17 dicembre 2009 il governo Berlusconi vara il decreto Romani che obbliga Sky a scendere entro il 2013 dal 18 al 12 per cento di affollamento orario di spot.
73. Più azioni proprie (2009). La maggioranza aumenta dal 10 al 20 per cento la quota di azioni proprie che ogni società può acquistare e detenere in portafoglio. La norma viene subito utilizzata dalla Fininvest per aumentare il controllo su Mediaset.
74. Decreto ad listas (2010). Visto che le liste del Pdl sono state presentate fuori tempo massimo nel Lazio e senza timbri di autenticazione a Milano, il governo vara un decreto «interpretativo» che stravolge la legge elettorale, sanando ex post le illegalità commesse per costringere il Tar a riammetterle. Ma non si accorge che, nel Lazio, la legge elettorale è regionale e non può essere modificata da un decreto del governo centrale. Così il Tar ribadisce che la lista è fuorilegge, dunque esclusa.
75. Ad Mondadori 3 (2010). L’Agenzia delle entrate contesta alla Mondadori il mancato pagamento di 173 milioni di euro di tasse evase nel 1991, in occasione della fusione tra Amef e Arnoldo Mondadori, dopo che il maggior gruppo editoriale italiano passò da De Benedetti a Berlusconi in seguito a una nota sentenza comprata da Previti con soldi del Cavaliere. Mondadori ricorre in primo e secondo grado vince la causa, ma il fisco ricorre in Cassazione e lì c’è un giudice molto severo che rischia di dar torto all’azienda berlusconiana. Così il premier vara un decreto, il 40/2010, che consente a chi ha vinto la causa in due gradi di giudizio di chiudere il contenzioso fiscale in Cassazione versando solo il 5 per cento del valore della lite. Così, invece di 173 milioni (che poi salirebbero a 350 con gli interessi), Mondadori se la cava con 8,6 milioni.
76. Lodo ad Legam (2010). Per salvare i leghisti delle camicie verdi ancora imputati a Verona per costituzione di formazione paramilitare fuorilegge (gli altri due reati sono già stati depenalizzati nel 2005), ecco una norma ben nascosta in un decreto omnibus, il 66/2010 approvato a marzo ed entrato in vigore a ottobre col titolo «Codice dell’ordinamento militare». Il decreto comprende la bellezza di 1085 norme e, fra queste, la numero 297, che abolisce il decreto legge 43 del 14-2-1948: quello che puniva col carcere da 1 a 10 anni «chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici» e si organizzano per compiere «azioni di violenza o minaccia». Il trucco c’è e si vede: un provvedimento che abroga una miriade di vecchie norme inutili viene usato per camuffare la depenalizzazione di un reato gravissimo. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa parla di «errore materiale», facilmente sanabile con un errata corrige. Ma il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, a suo tempo imputato a Verona, dice che non si può e che la norma non l’ha voluta lui, ma l’apposita commissione tecnica istituita dal governo Prodi. La commissione però lo smentisce. Al giudice di Verona, alla ripresa del processo, non resterà che prendere atto della depenalizzazione anche dell’ultimo reato e prosciogliere tutti gli imputati.
77. Salva-generali di Nasiriyya (2009). Onde evitare l’accusa di legiferare soltanto ad personam per il premier, anche in questa legislatura il centro-destra pensa anche ad altre personas. Per esempio, dando un’altra mano a Pollari e Mancini, apponendo il segreto di Stato anche nei processi per le schedature del Sismi e per i dossieraggi Telecom. Poi apparecchia una legge su misura per gli ufficiali imputati nei due processi in corso al Tribunale militare di Roma per la strage di Nasiriyya: cioè accusati di non aver fatto tutto il possibile per proteggere gli impianti e gli uomini loro affidati, agevolando così il lavoro dei kamikaze che il 12 novembre 2003 uccisero 19 italiani e 9 iracheni presso la base del nostro contingente militare in Iraq. La norma è nascosta nelle pieghe della legge che proroga le missioni militari italiane all’estero approvata il 29 dicembre 2009: i Tribunali militari, per procedere nei confronti di un soldato o di un ufficiale, dovranno avere il via libera del ministero. Nella vicenda di Nasiriyya, dunque, dovrebbe essere il ministro La Russa a chiedere di mandare alla sbarra i generali. Traduzione: il processo evaporerà per sempre. Gli avvocati delle vittime ritengono però che la «riforma» sia incostituzionale e chiedono al Tribunale militare di sollevare la questione davanti alla Corte Costituzionale.
78. Salva-rifiuti (2008). Il 27 maggio 2008, appena insediato il governo Berlusconi-3, vengono arrestate a Napoli 25 persone, tra cui funzionari e dipendenti del commissariato per l’emergenza in Campania. Secondo l’accusa, avrebbero consentito per anni di smaltire in discariche a cielo aperto rifiuti «tal quali» spacciandoli per «ecoballe» ecologicamente trattate con la complicità dell’impresa Fibe-Impregilo che avrebbe dovuto curare i trattamenti, «con grave pregiudizio per l’ambiente e la salute pubblica». Agli arresti domiciliari finisce, fra gli altri, Marta Di Gennaro, la vicecommissaria del neosottosegretario alla Protezione civile e commissario ai rifiuti, Guido Bertolaso, pure lui indagato. Ed ecco pronto un decreto del governo Berlusconi per sterilizzare l’azione dei magistrati: il 90/2008. Oltre a militarizzare le nuove discariche per allontanare le proteste dei cittadini, il decreto deroga alle norme nazionali ed europee sullo smaltimento dei rifiuti e consente di seguitare a sversare nelle discariche campane anche quelli tossici e pericolosi; punisce col carcere chi abbandona rifiuti ingombranti o pericolosi nelle strade della Campania; attribuisce al procuratore capo di Napoli la competenza regionale sui reati legati ai rifiuti e all’ambiente e a un organo collegiale l’adozione delle misure cautelari per gli stessi reati, espropriando così le altre procure campane e creando una mostruosa superprocura centralizzata per i rifiuti. Il Csm denuncia il contrasto fra il decreto e il principio costituzionale dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, per la norma che prevede una tipologia di reato ad hoc solo per i rifiuti ingombranti abbandonati in Campania. Il decreto finisce dinanzi alla Consulta per un’eccezione sollevata dal tribunale di Torre Annunziata: il decreto punisce certi comportamenti solo in Campania, non nel resto d’Italia, in barba al principio di eguaglianza.
79. Salva-beni mafiosi (2008). Il più grosso regalo del governo alle mafie è la norma, contenuta nella legge finanziaria approvata nel dicembre del 2009 per il 2010, che consente la vendita all’asta di tremila immobili confiscati alle mafie, destinando la metà dei proventi al ministero dell’Interno e l’altra metà al ministero della Giustizia. Si tratta di immobili che non possono essere destinati «a finalità di pubblico interesse». Risultato: siccome nei territori controllati militarmente dai clan nessun cittadino avrà mai il coraggio di acquistare i beni appartenenti a un mafioso, gli unici soggetti che parteciperanno all’asta pubblica saranno i prestanome degli stessi boss, che potranno così mostrare la loro onnipotenza riappropriandosi dei beni confiscati. A nulla valgono le proteste di magistrati, opposizioni e associazioni antimafia.
80. Scudo fiscale (2009). Nel giugno del 2008 il governo smantella subito l’Ici, la tassa comunale sulle abitazioni per tutte le prime case, escluse quelle signorili, le ville e i castelli (appena 40 mila unità immobiliari a uso abitativo su 31 milioni censiti in tutto il paese). Una norma smaccatamente pro ricchi, visto che per chi pagava fino a 100 euro di Ici all’anno, cioè per il 40 per cento dei proprietari di prime case, l’Ici l’aveva già abolita il governo Prodi nel 2008, esentando quei 7 milioni di famiglie che vivono nelle case più modeste e prevedendo maggiori detrazioni per i restanti 10 milioni. Ora nemmeno questi ultimi – i redditi medio-alti – pagheranno più un euro, con un costo per lo Stato di quasi 4 miliardi di euro. Il tutto a opera del governo che predica il «federalismo fiscale» e poi abolisce l’unica tassa federale, fra l’altro a prova di evasione. Ma non basta, perché subito dopo arriva il nuovo scudo fiscale. Il terzo della lunga era Tremonti, che aveva solennemente giurato di non farlo mai più. Funziona come gli altri due, con la differenza che sui capitali fatti rientrare, in cambio dell’anonimato e dello «sbiancamento», il governo chiede alle banche di trattenere una tassa non del 2,5, ma del 5 per cento. Comunque una miseria, specie in tempo di crisi finanziaria mondiale. In sede di conversione, poi, scompare addirittura l’obbligo per le banche di segnalare le operazioni sospette all’antiriciclaggio e vengono condonati alcuni gravissimi reati finanziari, contabili e tributari collegati con l’esportazione di capitali occulti. Lo scudo poi non si applica soltanto al denaro, ma anche alle case, agli yacht e ai beni di lusso in generale, che ovviamente restano dove sono, cioè all’estero.
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